CORRIERE DELLA SERA
9 dicembre 1999

CIRANO DI PATRONI GRIFFI - IL GRANDE EQUILIBRIO DI UN CAPOLAVORO KITSCH

Di Magda Poli

Alberto Savinio, definendo lo stile di Edmond Rostand, parla di «pompierismo» fertile, adorno, grazioso, arricciato, buccolato; un «pompierismo» di gusto, di trovate, di battute spiritose, di galanteria, insomma un «pompierismo» geniale. Per poi sostenere con acuta ironia che uno degli insegnamenti che lo scrittore impartisce con l'uso della rima nel «Cyrano de Bergerac» è che la musicalità riesce ad ammantare d'eleganza e di dignità le «sciocchezze» più smaccate che in prosa sarebbero insopportabili, portando come esempio le battute finali dell'eroe morente «...C'è qualcosa /ch'io porto meco...a Dio,/...il pennacchio mio».
E come non condividere anche l'opinione di Giovanni Raboni, che definisce l'opera un «capolavoro di kitsch e di ruffianeria»? E questa celeberrima commedia eroicomica tiene le scene con fiero successo da poco più di cent'anni, col suo ben riuscito miscuglio di «pompier» e vitalistico che si inzuppano in un romanticismo libertario alla Hugo, di eroismo alla Corneille che si svilisce in uno smargiasso, roboante spirito guascone, di slanci utopici che si smorzano in un misticismo semplicistico, di sfoggio retorico che sfocia in un lirismo facile e fiorito.
Cyrano poi è un personaggio di straordinaria simpatia, coraggioso, e sdegnoso, infelice per la sua bruttezza, intelligente, colto, sognatore che ha scoperto che l'amore va reinventato ogni giorno, nutrito, ornato, viziato, se necessario, fino alla lusinga.

Utilizzando opportunamente la bella e «classica» traduzione in versi martelliani di Mario Giobbe (1898), quasi coeva all'opera, il regista Giuseppe Patroni Griffi propone una messincena del «Cyrano» che giustamente e con gusto resta nell'ambito della tradizione, con le sue belle scene dipinte, sipari che si intrecciano in un gioco di teatro nel teatro, i costumi preziosi e sgargianti (entrambi firmati da Aldo Terlizzi), i clangori dei duelli, i fumi dei campi di battaglia, l'aura romantica dei duetti d'amore, il patetismo autunnale del finale cui si aggiunge una sorta di assunzione in cielo, nel cielo del Teatro, del protagosnista.

Cyrano è un trascinante Sebastiano Lo Monaco che con intelligenza recitativa trova un giusto equilibrio tra spavalderia e sofferenza, tingendo di verità da Misantropo molièriano la tirata sulla libertà pagata a duro prezzo, giocando con tratti da maschera della Commedia dell'Arte su quella ben famosa delle 20 varianti con le quali poter descrivere il suo naso, e dando sfumature di romantica verità a quella altrettanto nota delle 8 varianti della definizione di un bacio. Accanto a lui la Rossana dolce «preziosa ridicola» e vedova sconsolata della brava Marina Biondi, l'amico fidato Le Bret del misurato Claudio Mazzenga, il bello ma ottuso, come da copione, Cristiano di Robert Madison e una nutritissima compagnia di giovani e generosi attori che ha raccolto un caloroso successo.

Magda Poli
Milano, 9-12-1999