COSI’ PATRONI GRIFFI S’ABBANDONA A CYRANO
ACCUSATO di scarsa personalità l’Ottocento rimane il secolo che ha reinventato tutti quelli precedenti, in maniera ancora oggi impossibile da ignorare. Chi riesce a visitare con la fantasia il Medioevo senza passare per Walter Scott, il Settecento veneziano prescindendo dal ricordo della Fenice, o la Parigi del Re Sole trascurando Dumas père e Edmond Rostand ?
Questo signore dai colletti duri e dai baffoni a tricheco, in particolare, concentrò in un unica pièce tutto quello che crediamo di sapere su poeti spadaccini, preziose che esigono di essere corteggiate a forza di invenzioni letterarie, libelli, guasconate, intrighi di corte, recuperando inoltre un autore minore e facendone un mito che anticipa persino Freud.
Sfigurato da un enorme naso, simbolo fallico elementare, Cyrano sfoga infatti i suoi complessi con una devastante aggressività; e non avendo il coraggio di dichiararsi in prima persona, ama per procura, suggerendo al bell’ebete Cristiano le parole giuste per infiammare la "bas bleue" Rossana, e arrivando fino a doppiarlo, ossia a prestargli la propria voce, in una brillante rivisitazione della scena del balcone di "Romeo e Giulietta". In quattro atti, "Cyrano de Bergerac" ha tutto: il teatro nel teatro, con exploit del protagonista che infilza un presuntuoso mentre compone a braccio una ballata; la presentazione dei fieri Cadetti, goliardici ammazzasette "qui font cocus tous les jaloux"; l’amore, la guerra e la morte del giovane Cristiano nel momento sbagliato (Cyrano ha appena appreso che Rossana potrebbe amare lui, ma così non può approfittarne); la rivelazione finale, con morte di Cyrano vecchio ma mai domo. A rendere questo trionfo del Kitsch irresistibile anche nella nostra lingua c’è poi, episodio più unico che raro, la traduzione coeva di Mario Giobbe, in martelliani che riproducono validamente l’alessandrino francese ("je vous previens, mon Mimidon – qu’à la fin del l’envoi je touche" diventa, cito a memoria, "io vi prevengo caro paladino – che alla fin della licenza io tocco").
Davanti a un siffatto monumento popolare sono possibili solo tre atteggiamenti, ignorarlo, cercare di rivisitarlo criticamente, abbandonarvisi. A quest’ultimo partito, quello vincente, si è rivolta la regia di Giuseppe Patroni Griffi nell’edizione estiva partita dalla Versilia di Marina di Pietrasanta in attesa di una tournée invernale: senza cioè lesinare nello spettacolo e al contempo facendo sentire i versi. Aldo Terlizzi ha escogitato una scenografia in giusto equilibrio fra essenzialità moderna e giocosità d’epoca, ossia con fondali neutri, ma poi con cannoni, carri di vettovaglie, secondo palcoscenico; e nei molti costumi, forse cento, è stato colorito e in carattere, sia pure senza rinunciare a qualche tocco ironico, come un abito da sera bianco e trasparente alla Jean Harlow che pur valorizzando le lunghe gambe di Marina Biondi stona un po’ con l’affettuosa rivisitazione dell’impianto generale. Svelti i comprimari fra cui Robert Madison, Claudio Mazzenga, Daniele Pecci, Fabio Rusca; e solida prestazione del superprotagonista Sebastiano Lo Monaco, convincente anche con la spada in pugno. Tre ore con un intervallo, e pubblico, naturalmente, deliziato.
(Masolino d’Amico)