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bozzetti originali di Aldo Terlizzi








LA FORTUNA DI "CYRANO"

Non aveva ancora trent’anni quando l’attore più importante della Francia di fine secolo scorso Coquelin chiese a Edmond Rostand un testo teatrale "su misura" che unisse vari generi drammatici: il dramma storico, la commedia, il genere comico e drammatico, il dramma eroico e la tragedia.

Fu dunque per invito di un attore, cioè di un uomo di scena, che nacque un capolavoro della letteratura teatrale come "Cyrano de Bergerac", rappresentato trionfalmente alla fine del 1897 al teatro di Port-Saint-Martin con un successo popolare straordinario e incontrastato che è continuato per tutto il Novecento ogni volta che è stato rappresentato sulle scene europee. Eppure Rostand, pur se nominato Accademico di Francia nel 1903 (grazie soprattutto al trionfo indiscusso del "Cyrano"), non è stato un grande autore teatrale, un drammaturgo di culto come Strindberg, Ibsen, Cecov, Schnitzler. Esordisce come poeta, come scrittore di saggi letterari, è affascinato dalla vita di personaggi storici e leggendari, ha tuttavia una abilità straordinaria nel mischiare realtà e fantasia, lirismo e prosa corrente, feuilleton e vita vera. Ma ciò non basta a spiegare le ragioni di una vicenda teatrale assolutamente unica nella storia dello spettacolo, che ancor più dei "soliti classici" rinnova ed amplia il consenso ottenuto cento anni fa.

Quale il segreto della costante fortuna scenica di un testo che rifiuta "interpretazioni" e "adattamenti" (il destino di tutti i grandi classici è quello di essere "rinnovati") per imporsi alle platee di tutto il mondo per quello che è, con i suoi costumi e pennacchi, la versificazione che dilaga come un fiume in piena, l’intrigo ormai noto, le scene principali che non possono più avere il gusto della sorpresa, manciate di frasi che si riconoscono ad orecchio?

Scorriamo il testo.

Intanto il personaggio principale. Cyrano de Bergerac non è un nome di fantasia, è una persona realmente esistita: uno scrittore della Francia del 600, contemporaneo dei tre grandissimi – Molière, Corneille e Racine – autore di romanzi utopistici, tragedie, commedie, ma fu soprattutto una figura eccentrica, bizzarra, estrema, che coltivava un interesse profondo e particolare sia per la letteratura fantastica che per le scoperte scientifiche e le riflessioni filosofiche e morali. Insomma, un genio scandaloso e irregolare, inviso ai potenti del suo tempo, che quando entrò in disgrazia fecero di tutto per accelerare la sua rovina.

Ebbe certamente un’esistenza avventurosa. Entrò giovanissimo nella Compagnia delle Guardie dove si distinse per il suo carattere aggressivo e irruento; protagonista di numerosi duelli partecipò agli assedi di Mouzon e Arras dove rimase ferito al collo ed alla gola. Lasciata la carriera militare si dedicò ai suoi molteplici interessi, non solo letterari, continuando la sua vita sregolata, rifiutando gli aiuti che gli venivano offerti, disdegnandoli con ostentato disprezzo. In definitiva una bella figura di intellettuale déraciné, con una coscienza civile e politica alta, culturalmente insolita e originale per quell’epoca.

Rostand prende quindi spunto da questa figura importantissima ma "minore" della letteratura francese e con accorgimenti forse fantasiosi ma sicuramente "verosimili" e ne fa un personaggio immortale e credibile, più concreto dell’uomo realmente esistito due secoli prima. E’ questo che affascina soprattutto del testo: una ricostruzione storica talmente ingegnosa e plausibile che avvicina straordinariamente ai suoi tempi, e possiamo tranquillamente aggiungere anche ai nostri, una vicenda privata talmente ardita e complessa in cui è possibile riconoscere le glorie e le miserie non di un individuo, ma dell’uomo intero con i suoi slanci, le sue passioni, i desideri più arditi e le più assurde mortificazioni. Una miscellanea di ardori, insensatezze, reboanti imprese e inutili umiliazioni per affermare semplicemente la propria voglia di esistere, a proprio modo. Siamo oltre Dumas che al secolo di Richelieu ha dedicato il suo romanzo più famoso, eccezionale in figura emblematica, una biografia in mito.

Con soluzioni di straordinaria genialità teatrale come la dimensione iperbolica del naso di Cyrano, l’ironia shakespeariana della scena del balcone, con la gag interna di un suggeritore da "avanspettacolo", e poi quel sentimento d’amore infinito per una donna irraggiungibile, l’amata cugina Rossana, che profuma lontanamente di incesto. E infine quei numerosissimi episodi laterali e vicende parallele che si dipartono da un’azione centrale unica, assoluta, determinata che non può non volgersi in tragedia. Un po’ "Don Chisciotte" ("e mi trovo in lui bizzarro e avventuriero"), un po’ D’Artagnan, più romantico e scaltro di Romeo, più infelice di Amleto (perché l’unico che l’ha tradito è stato il suo corpo), Cyrano rappresenta l’essere umano nel pieno della più sublime eccitazione, e nel momento del degrado più infimo, ma che in entrambi i casi riesce a ritagliarsi un angolo di irrinunciabile dignità.

Ricchissimo di altri personaggi, compare lo stesso D’Artagnan in persona, in un bel gioco di specularità segrete, il testo, com’è noto, si gioca soprattutto su altre due figure, Cristiano di Neuvillette, a cui Cyrano, come un moderno doppiatore presta la voce ma ne ruba il corpo, e la bella Rossana che nelle varie edizioni che si sono succedute, soprattutto cinematografiche, è personaggio che viene sempre più valorizzato per la sua tragica inconsapevolezza.

Come nella tragedia del Titanic, secondo il film di Cameron che ha appassionato le platee di tutto il mondo, anche qui c’è un Cyrano-Cristiano (la cui sintesi è il giovane Di Caprio) che sacrifica la vita per salvare il suo amore, come dire che tutte le grandi storie si ripetono.

Ma il Cyrano di Rostand ha una marcia in più proprio perché è un prototipo, un calco a cui hanno attinto fior di scrittori (si pensi soltanto all’ossessione del naso) e poeti, e registi. Vecchioni, Guccini hanno scritto due belle canzoni ispirate a Cyrano e Rossana, il cinema ne ha curato varie versioni, ora serie (si veda l’ultimo straordinario film di Rappenau con Gerard Depardieu) ora facete (Roxane), per non parlare del teatro. In Italia, Pino Micol nell’esemplare e fortunatissimo spettacolo di Scaparro, di recente Franco Branciaroli, Gigi Proietti e Domenico Modugno in versione musicale, e prima ancora Gino Cervi, Annibale Ninchi, Gualtiero Tumiati. In Francia in occasione del centenario ben tre attori si sono cimentati con l'amoroso guascone: Pierre Santini, Patrick Préjean, Francis Huster. In precedenza, con una velocissima apparizione anche a Milano abbiamo assistito all’interpretazione di Jean-Paul Belmondo. Fra le edizioni più riuscite si ricorda la versione televisiva in bianco e nero di Claude Barma in un Cyrano "magistralmente" incarnato da Daniel Sorano.

La fortuna di Cyrano nel mondo non è insomma un fenomeno da indagare, è una certezza incontrovertibile. Le Monde ha dedicato nel centenario della prima rappresentazione, il 29 dicembre del 1997, un pregevole e attentissimo dossier, in Italia dove si fa fatica a ricordare i nostri autori (piccoli o grandi che siano) l’anniversario è passato sotto silenzio, per cui l’impegno di Sebastiano Lo Monaco, uno dei nostri più giovani e affermati primi attori, che ha già dato prova di riempire i teatri interpretando personaggi più difficili e ostici di Cyrano (ma questa impresa non sarà certo una passeggiata), a mettere in scena il testo di Rostand, e recitare il ruolo di Cyrano, non può che essere salutato con grande soddisfazione, sia perché si rimedia ad una colpevole mancanza della nostra scena nazionale che ha ignorato l’illustre anniversario, sia perché sarà l’occasione alla fine del duemila di misurare la tenuta di un testo particolare ma amatissimo con le risposte di un pubblico teatrale sempre più nuovo ed esigente che siamo certi riempirà le sali teatrali perché per moltissimi di loro risulterà una vera e propria "novità". E vorrei concludere con le parole di un regista francese che meglio di tutte testimoniano delle ragioni di un attaccamento al personaggio di Cyrano alla fortuna universale del testo: "è un personaggio la cui rivolta è quella che molte persone vorrebbero avere, e che non hanno il coraggio di avere. E’ un personaggio che ha alcune paure: ha paura della donna, ha paura di se stesso, ma non ha paura ad affrontare i ricchi, i potenti, gli egoisti, i mentitori, e la stupidità, come dice alla fine. Cyrano si inscrive in un sistema di valori puri. E questo sistema è quello in cui i fanciulli, gli adolescenti, gli adulti, che sono qualche volta rimasti dei grandi fanciulli, amano essere o amerebbero essere".

Grande Cyrano, Grande Rostand. A loro e a tutti quelli che indossano "son panache" lunga vita scenica.

Giuseppe Liotta